sabato 24 aprile 2010

Il petroliere: There Is a Masterpiece


A cinque anni di distanza dalla distorta e surreale love story di Ubriaco d’amore, il regista/sceneggiatore statunitense Paul Thomas Anderson nel 2007 cambia decisamente registro e torna alla regia con una pellicola dura, profondamente cupa e pessimista, che a differenza di tutti i suoi lavori precedenti non lascia spazio alcuno a possibilità di speranza o redenzione. Come in Ubriaco d’amore, però, il giovane cineasta della San Fernando Valley mette di nuovo al centro della narrazione un unico personaggio, rimanendo dunque ancora lontano dalle narrazioni multiple dal sapore altmaniano di Boogie Nights e Magnolia.

Il petroliere (l'evocativo titolo originale, con cui giochiamo nel titolo dell'articolo, è There Will Be Blood) è un film audace, tanto coraggioso quanto complesso e al contempo profondamente radicato nella cultura americana: come ha giustamente scritto su Il Manifesto Giulia D’Agnolo Vallan all'epoca dell'uscita del film, imperniato sulle sue due anime primarie (il capitalismo e l’evangelismo). Un lavoro di grande valore che forse neppure dopo una terza visione dà a chi guarda la possibilità di coglierne appieno le diverse sfumature e i molteplici temi suggeriti tra le righe.

Ambientata a cavallo tra il XIX e il XX secolo (e più precisamente tra il 1898 e il 1927), l'opera è stata appropriatamente definita da diversi critici americani come un character study, vale a dire uno studio approfondito su un unico personaggio. Effettivamente la pellicola si concentra quasi esclusivamente su Daniel Plainview (un Daniel Day-Lewis di indicibile bravura), un uomo taciturno, essenzialmente solitario e misantropo, ossessionato dall’idea di arricchirsi grandemente scovando e comprando a somme molto basse territori colmi di oro nero. Oltre a Plainview – che è chiaramente una demitizzazione personificata del classico self-made man a stelle e strisce – l’altro personaggio che riveste una grande importanza all’interno della pellicola è Eli Sunday (interpretato dall’ottimo Paul Dano), l’ambiguo predicatore della comunità in cui giunge l’avido cercatore di petrolio e nella quale si svolge la estesa parte centrale della narrazione. Anderson ci mostra l’inarrestabile e progressiva ascesa del protagonista principale senza giudicarlo, senza infingimenti, evitando abilmente – come d’altronde ci ha abituati fin dal suo esordio con Sidney – di assumere atteggiamenti moralistici che sarebbero risultati del tutto fuori luogo. E nel frattempo introduce lentamente la sinistra figura del predicatore, che a poco a poco si rivela essere sempre più vicina e simile a quella di Plainview. Dal film emerge uno sguardo impietoso, privo di banali edulcorazioni, sull’avidità, l’egoismo e l’ipocrisia che albergano nell’animo umano.

Ciò che realmente sorprende è l’eclettismo di Anderson, il quale si mette in maniera encomiabile al servizio della storia che deve narrare e offre una prova registica sobria e perfettamente calibrata, piuttosto lontana dallo stile dominante in Boogie Nights, Magnolia e Ubriaco d’amore, che si alimentava spesso di rapidi e irrequieti movimenti di macchina e panoramiche a schiaffo. Qui i movimenti fluidi e lenti della macchina da presa, alla continua ricerca delle linee orizzontali o verticali di movimenti umani, trivelle, torri per l'estrazione, tubature o cinghie, sono in perfetta simbiosi con le immagini e con la straordinaria musica per orchestra composta da Johnny Greenwood, che funge da costante elemento perturbante concorrendo a dare forma a una sorta di sublime poema sinfonico-cinematografico crudo e oscuro.

2 commenti:

  1. Capolavoro!
    Adoro questo film, nel finale ci ho visto anche la maestosità del divino Stanley!
    Per me uno dei migliori film del decennio scorso!
    Complimenti per il blog!

    ^^

    Valentina

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  2. Sì, il finale ricorda proprio Kubrick. Anche nell'uso della musica, con gli echi a Ligeti e Penderecki. Grazie mille per i complimenti!

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